L’intonazione rosa-arancio che illumina il cielo si riverbera sul paesaggio amiatino e avvolge in una calda atmosfera la severa struttura del castello alto sul colle. Come in molti altri dipinti realizzati dal vero durante le giornate estive, il pittore esprime la sua partecipazione affettuosa agli spettacoli della natura, sempre diversi e commoventi ai suoi occhi attenti e sensibili.
Il castello di Arcidosso al tramonto
Vittorio Granchi
Firenze, 20 ottobre 1908 – 30 novembre 1992
Vittorio Granchi, dopo gli studi alla Scuola d’Arte in Santa Croce e all’Istituto d’Arte di Porta Romana, inizia una poliedrica attività: decora per la bottega del padre mobili in legno, realizza batik di gusto déco, si dedica alla pittura su cavalletto ed inizia la decorazione di interni abitativi con Giovanni Tolleri e di navi di linea con l’architetto Carlo Coppedè; negli stessi anni frequenta la Scuola Libera del Nudo all’Accademia, il Circolo degli Artisti, il caffè delle «Giubbe Rosse» ed avvia un intenso sodalizio artistico con Dino Bausi, Ermanno Toschi, Ugo Pignotti e Francesco Pagliazzi.
Nel 1934 è chiamato da Ugo Procacci al Gabinetto Restauri della Soprintendenza alle Gallerie di Firenze, di cui diventerà prestigioso operatore. Negli anni della guerra Vittorio Granchi si adopera instancabilmente nella difesa del patrimonio artistico di Firenze e del territorio e, in parallelo, descrive le devastazioni arrecate dalle mine tedesche nella zona del Ponte Vecchio in una serie di tragiche tele dipinte dalle finestre degli Uffizi. Dopo l’alluvione del ’66, con Umberto Baldini e gli altri colleghi del Gabinetto Restauri, Vittorio Granchi esegue interventi di «alta chirurgia», fra cui la delicatissima operazione sul Crocifisso di Cimabue.
Vittorio Granchi non ha mai trascurato la pittura da cavalletto, con particolare interesse per il paesaggio e, tra gli orizzonti preferiti, ha scelto quelli della Maremma e dell’ Amiata, dove era nata la moglie e dove si recava regolarmente a trascorrere le vacanze, fino alle ultime del 1992.